Le modalità terapeutiche non farmacologiche possono coinvolgere prevalentemente, in maniera più o meno marcata, aspetti fisici o aspetti psicologici. Alle prime appartengono le attività a livello corporeo e riguardano le tecniche di riabilitazione, stretching, danza terapia, yoga, ed altre , mentre, alle seconde e cioè agli aspetti psicologici appartengono l’educazione del paziente alla conoscenza della malattia, la psicoterapia cui si abbinano tecniche di rilassamento ed esercizio mentale nelle varie forme che vanno dal biofeedback training all’ipnosi medica alla realtà virtuale ecc… e tecniche specifiche per ottenere risultati particolari come l’E.M.D.R. (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)
Tutte queste forme di intervento, per essere efficaci, richiedono la partecipazione attiva del paziente. Ciò vuol dire che, mentre il farmaco agisce indipendentemente dalla sua volontà le modalità non farmacologiche richiedono un suo totale coinvolgimento e soprattutto, un genuino desiderio di ottenere i risultati raggiungibili con tali modalità. Apparentemente ciò è un controsenso. Chi infatti non desidera alleviare le proprie sofferenze? O guarire dalla propria malattia? Da un punto di vista razionale la risposta è assolutamente scontata, tutti lo desiderano ardentemente e si sottopongono a qualsiasi cura per ottenere la guarigione o almeno un cospicuo miglioramento. Tuttavia, nei processi mentali in cui sono coinvolte le emozioni così non è. Se non si tengono nel dovuto conto certi atteggiamenti mentali si rischia, come spesso succede, l’insuccesso o l’ottenimento di risultati inferiori alle aspettative. Nell’indagine psicologica si riscontra, in percentuale superiore alla media, che le persone affette da sindrome FM sono persone molto attive sia fisicamente che mentalmente, molto attente alle necessità delle
persone cui sono legate affettivamente ed in generale agli altri, molto preparate a livello professionale e spesso capaci di fornire elevate prestazioni. In generale però queste persone sono scarsamente dotate di autostima personale o nutrono di sé una falsa autostima. Ne consegue che necessitano di continui giudizi positivi attraverso i quali trovare una sorta di temporanea sicurezza e rassicurazione. Oppure, ma è sempre lo stesso meccanismo ad alimentarlo, sentono il dovere imperioso di dover fornire elevate prestazioni pena sensi di colpa anche di elevata entità. Per evitare di non corrispondere alle aspettative, che pensano gli altri abbiano nei loro confronti, mettono in atto frequenti controlli sul loro operato impiegando ingenti energie nel portarle a compimento. Inoltre, ma ne è una inevitabile conseguenza, vivono gli avvenimenti con costante elevata ansia per timore di non riuscire a…, di non essere all’altezza di…, di sbagliare nel… e così via. Le energie profuse nel controllo e l’ansia sperimentata costantemente portano inevitabilmente a condizioni di stress cronico con tutti i correlati a livello psico-fisico che esso comporta. Anche se nell’età giovanile le manifestazioni ad esso associate vengono abbastanza tenute sotto controllo, con l’avanzare degli anni o la concomitanza di eventi ad elevato impatto emotivo ( separazioni, lutti, comparsa di eventi morbosi ecc…) questo controllo diventa meno o per nulla efficace. Possono pertanto comparire, anche improvvisamente e senza motivo, gli attacchi di panico o altre manifestazioni sia a livello mentale che fisico. Su questo terreno, per processi ancora non del tutto chiari, si sviluppa, nella maggior parte dei casi la sindrome FM. La malattia, come noto, compare e si caratterizza per la presenza di dolori muscolo-scheletrici anche di notevole entità che ben presto si cronicizzano impedendo, alle persone che ne soffrono, di mantenere gli standard di vita e le prestazioni sia personali che lavorative precedentemente espresse. Se, come abbiamo visto, queste persone hanno identificato la loro individualità con le prestazioni da esse effettuate l’impossibilità di poter continuare a fornire le stesse prestazioni viene vissuta come un fallimento, una conferma della propria disistima e la conseguente perdita di tutte le caratteristiche positive fino ad allora possedute.
La richiesta di queste persone, consapevole o meno che sia, è pertanto quella di poter tornare come prima o perlomeno di poter continuare a svolgere il ruolo sempre svolto per riscuotere i consensi e gli apprezzamenti esterni senza dei quali rischiano di perdere la loro identità. In estrema sintesi accettano di lavorare su di sé ma non per sé e per il proprio personale benessere ma per poter tornare ad essere efficienti per gli altri o per poter mostrare la loro efficienza. Ciò, naturalmente, impedisce di accettare le limitazioni imposte dalla malattia e quindi di fare progressi a livello terapeutico. Dal punto di vista dei processi mentali non è la stessa cosa e questi tendono a non modificarsi. Questo processo, che, con tutte le sue varianti e modalità di intervento prende il nome di ristrutturazione cognitiva, deve essere ben chiaro nella mente dei pazienti ed è la parte preliminare ad ogni intervento deputato ad avere successo.
L’approccio psicologico che descrive questi processi è quello “cognitivista” messo in luce da Aaron Beck psichiatra e psicoterapeuta statunitense la cui teoria si è successivamente integrata con quella di Albert Ellis. I successivi contributi di Heinz von Foerster, Humberto Maturana, francisco Varela quelli della teoria dell’Attaccamento di John Bowlby nonché gli approcci costruttivisti della Personal Construct Psychology offrono oggi una solida base teorica per quella che comunemente viene chiamata CBT (cognitive-Behavioural Therapy) o, in italiano TCC ( Terapia Cognitivo-Comportamentale). È, al momento attuale, una delle più note e diffuse forme di psicoterapia,
estensivamente applicata per il trattamento di molti tipi di disturbi psicologici e psichiatrici (in particolare nella gestione dei disturbi d'ansia e dell'umore, e come trattamento di supporto o complementare nei disturbi della personalità, nelle psicosi ed in altre forme sindromiche). I suoi tassi di efficacia, a livello di riduzione sintomatologica in diverse forme psicopatologiche, sono valutati come buoni, e sono a volte usati come parametro funzionale di riferimento per altri tipi di psicoterapie.